L’isola urbana di calore (UHI, Urban Heat Island) consiste nel riscaldamento delle aree urbane rispetto a quelle non urbane circostanti. Essa è dovuta all’alterazione delle proprietà termiche (capacità termica e conduttività), riflettenti (albedo ed emissività) e meccaniche (rugosità) del suolo urbanizzato. Date le conseguenze negative di tipo sanitario ed economico dell’UHI sulla popolazione urbana, nel tempo sono state proposte diverse tecniche di mitigazione ancora in fase di valutazione, ad esempio materiali altamente riflettenti, tetti coperti da vegetazione, aree verdi. Nello studio recentemente pubblicato dal CETEMPS sulla rivista “Urban Science” si sono analizzati gli effetti dell’uso di materiali altamente riflettenti (cioè caratterizzati da un alto valore di albedo) per la copertura delle superfici urbane di Milano su alcune variabili meteorologiche e sulla concentrazione di alcuni inquinanti. I risultati indicano che tali superfici possono ridurre l’effetto di isola urbana, ma al tempo stesso possono degradare la qualità dell’aria.
Riconosciuto all’inizio del XIX secolo da Luke Howard nella città di Londra, questo fenomeno oggi è molto diffuso e riguarda una percentuale sempre crescente della popolazione mondiale (il 54.5% nel 2016, il 60% entro il 2030). L’UHI è associata ad una tipica circolazione caratterizzata da un flusso convergente verso l’area urbana in prossimità del suolo e un flusso divergente in strati più alti dell’atmosfera. Essa pertanto produce cambiamenti nella struttura dello strato limite atmosferico (PBL) e nella dinamica atmosferica locale. Questo, insieme all’alterazione del campo termico, influenza in modo significativo la formazione e la dispersione di inquinanti.
Nello studio menzionato sono state effettuate simulazioni di tre possibili scenari usando il modello meteorologico alla mesoscala Weather Research and Forecasting (WRF) abbinato al modello di chimica e trasporto CHIMERE. I tre scenari, relativi al luglio 2014, consistono in un caso di riferimento in cui tutte le superfici urbane (tetti, strade, muri) sono caratterizzate dai valori di albedo comunemente presenti (pari a 0.2), un caso test intermedio in cui solo i tetti sono coperti da materiali ad alto albedo (pari a 0.7) e un caso estremo in cui tutte le superfici urbane sono coperte da materiali ad alto albedo.
I risultati mostrano che un aumento di albedo da 0.2 a 0.7 per tetti urbani, muri e strade portano ad una diminuzione della differenza di temperatura urbana-non urbana fino a 2-3°C e a una concomitante riduzione dell’altezza dello strato limite atmosferico di circa 500 m. Al contempo di calcola che la differenza in termini di concentrazione di particolato fine (PM10) e di ozono tra le aree urbane e quelle circostanti aumenta di un fattore pari circa a 2, a causa della riduzione dell’altezza del PBL e della velocità del vento; nel caso dell’ozono, anche l’aumento della radiazione solare riflessa contribuisce all’aumento di concentrazione, in quanto ne favorisce la produzione fotochimica.
In conclusione, se si conservano gli stessi livelli di emissioni antropiche (ad esempio da un limitato uso degli impianti di climatizzazione), il beneficio in termini di abbassamento della temperatura nelle città derivante dall’uso di questi materiali può avere ripercussioni negative sulla qualità dell’aria.
Autori dell’articolo: Serena Falasca, Gabriele Curci
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